Nelle stesse ore in cui a Torino si svolgevano i lavori del Congresso Nazionale degli Allenatori di nuoto, un allenatore di rilevanza internazionale si trovava al centro di una bufera (mediatica soprattutto).
Un quotidiano locale raccoglie le doglianze di una mamma di un bambino di 9 anni, che sarebbe rimasto scosso dall’utilizzo di una terminologia, definita volgare, da parte del suo allenatore di nuoto: Max Di Mito.
La polemica rimbalza sui social e diventa una vera e propria diatriba tra i pro e i contro, tra chi difende a spada tratta l’allenatore e chi condanna certe metodologie.
Max di Mito è il direttore Tecnico della Polisportiva di Riccione, già allenatore di Federica Pellegrini ed attuale allenatore di Alice Mizzau.
Nella fattispecie la stessa mamma denunciante sottolinea di non mettere in discussione la preparazione tecnica del coach, ma di condannare l’utilizzo di una terminologia forte nei confronti del figlio.
Il fulcro della questione dunque, sarebbe proprio questo: è legittimo che l’allenatore a bordo vasca usi toni alti di voce e magari parole non proprio gentili per spronare i propri atleti ad eseguire un certo tipo di allenamento in un certo modo?
Appare evidente che la risposta a questa domanda non sarà mai univoca. Nello sport, come a scuola o in tutti gli altri luoghi ove vi sia un docente ed un discente, ci saranno sempre due schieramenti contrapposti: chi legittima toni e maniere incisive e chi non tollera che ai ragazzi si dica nulla.
Certo, il nuoto è uno sport che si pratica in un luogo dove non puoi parlare con i tuoi atleti senza alzare la voce, e come tanti altri sport gli allenatori incitano i propri atleti in modi coloriti.
Credo però che la legittimità e l’importanza del confronto perdano consistenza quando il dialogo sia affrontato attraverso canali mediatici. Un genitore che vede il proprio figlio turbato o scosso dall’utilizzo di certe parole o di certi toni del proprio allenatore, non rilascia un’intervista al giornale locale, definendo “violenza verbale” l’accaduto. Inasprire i rapporti, creare polveroni, gettare ombre sulle persone, è davvero la soluzione?
La vicenda esposta fa da spunto per ulteriori riflessioni, che riguardano i rapporti tra genitori ed allenatori e di come andrebbero gestiti per evitare di far recepire malessere ai propri figli.
I bambini devono vedere nelle persone adulte con le quali si confrontano, personalità serene ed aperte al dialogo. La pratica di uno sport come il nuoto deve arricchire i ragazzi e deve essere svolta in un ambiente sereno. Ricordiamoci che l’allenatore in genere è una figura altamente specializzata e professionale, con alle spalle un bagaglio di esperienze tali da essere l’interlocutore perfetto dei propri atleti ed anche dei rispettivi genitori. chi gestisce, o ha gestito migliaia di piccoli (e grandi) atleti nella sua carriera ha certamente gli strumenti più adatti per rapportarsi alle varie personalità.
Se si è in disaccordo con metodi o tecniche di allenamento o con lati caratteriali dell’allenatore, l’unica soluzione possibile è parlarne. Non con i propri figli, nè tantomeno con gli altri genitori o peggio lanciando post sui social.
Se si sta criticando una figura professionale che sta svolgendo un lavoro del quale come genitori si conosce poco o nulla, forse è il momento di fare un passo indietro, osservare a cuor leggero e far rientrare il tutto negli argini. Bisogna da adulti avere la giusta capacità di discernimento, poichè le categorie del giusto/sbagliato spesso sono proiezioni dell’affetto che si nutre verso una persona. I rimproveri, la voce alta, qualche parola più forte, possono essere soltanto l’espressione della passione con la quale un allenatore fa il proprio lavoro.