Questo articolo è apparso originariamente nell’edizione 2021 Year In Review della rivista SwimSwam. Abbonati qui.
Il seguente è un articolo scritto in prima persona e pubblicato per gentile concessione di David Popovici.
Il mio obiettivo è di non cambiare mai il mio mindset, di non dimenticare la cosa più importante di tutte: che lo sport è divertimento.
La persona che sono oggi, è la somma di tutte le cose che mi sono state date con pazienza e attenzione dalle persone che mi amano, con l’aggiunta di qualcosa solo mio.
La mia famiglia è stata, è, e sarà sempre, il mio punto fermo. Mi ha forgiato, ha dato forma al mio modo di pensare, al mio modo di vedere il mondo, e anche di vedere lo sport. Mia mamma, mio papà, e Adrian, il mio allenatore, sono gli adulti da cui ho imparato di più, e possiamo inserire tra questa lista di maestri di vita anche mio fratello, 8 anni più vecchio di me.
Forse sono partito dalla fine, per raccontarmi, ma la verità è che nessuna storia parte davvero dal principio e che anche quando nasciamo siamo tutti già nel mezzo di qualcosa, di un prima e di un dopo.
Ad ogni modo ricomincio, se così si può dire.
Sono nato e cresciuto a Bucarest, che è la capitale della Romania, una città che raccoglie quasi 3 milioni di persone. 3 sui 19 dell’intero Paese. E’ una città grande e viva, ed è stata il mio trampolino verso la conoscenza del mondo.
Ero un bambino attivo, molto attivo. E so che lo dicono in tanti, soprattutto quelli che poi diventano atleti, ma io ero sempre in movimento. Non ho mai voluto giocattoli, niente macchinine o video giochi, per rendermi felice bastava lasciarmi creare con rocce, bastoni e qualunque cosa io trovassi nei parchi e nei giardini. Amavo ad esempio, giocare con gli insetti.
I miei occhi erano sempre intenti a catturare un nuovo stimolo, una ricerca costante di scoprire come è fatto il mondo, partendo proprio dalla terra che lo compone.
Sempre attivo, sempre sveglio, la mamma mi portava al parco nel passeggino e io chiudevo gli occhi per mezz’ora. Non per dire, ma proprio 30 minuti di orologio. Mentre gli altri bambini passavano ore intere a dormire io sentivo dentro di me una sveglia biologica, come se le giornate fossero troppo belle per sprecarle in quel modo e troppe le cose ancora da scoprire.
Anche oggi, nonostante le fatiche degli allenamenti, dello studio e della vita frenetica che faccio, non riesco mai a riposare al pomeriggio. Io ci provo, ma al massimo dormo due minuti, prima di sentire il desiderio di ricominciare a fare altro. Da un po’ di tempo ho trovato un modo mio per recuperare le energie. Spengo la luce, spengo il telefono, chiudo gli occhi e mi rilasso. Non dormo ma uso questo tempo per me, una specie di meditazione in cui ritrovo le forze per affrontare il resto della giornata.
E’ proprio per colpa, o per merito, di questa energia in eccesso che sono finito a nuotare. I miei genitori hanno deciso di portarmi in piscina, la stessa in cui mi alleno anche oggi, per bruciare un po’ di quella carica, o per lo meno per canalizzarla, e anche per curare la mia scoliosi.
Con l’acqua è stato amore. Punto.
Ricordo ogni singolo istante della mia prima lezione di nuoto. Ricordo che mi sono sentito subito al posto giusto. Come un pesce. Banale, okay, ma vero.
Sono magro, ho le braccia lunghe e le mani grandi. Il mio corpo dinoccolonato ha trovato in acqua una confidenza che per chi è fatto così è difficile da trovare, almeno ad una certa età.
Da quel giorno in poi l’acqua non è stata solamente il posto dove riuscivo a stare bene, ma anche la fabbrica dove costruire i miei sogni, alimentare la mia passione.
Il tempo che non passavo a nuotare lo passavo a guardare le leggende del nuoto. Ogni mattina libera dalla scuola, correvo in soggiorno appena sveglio e mettevo in TV le gare di Pechino 2008.
Micheal Phleps in tutto il suo splendore. Ne studiavo i movimenti e papà metteva in fermo immagine per mostrarmi gli errori che commettevo in acqua, per spiegarmi che tra me e quel mostro sacro c’era di mezzo solo, si fa per dire, tante ore di allenamento.
Ho guardato quei video fino a impararli a memoria. Li ho guardati per almeno 5 anni di fila, dai 7 ai 12 anni, e se non fosse che erano DVD ma video youtube DVD direi che li ho letteralmente consumati. Poi dall’anno successivo le mattine non erano più molto libere, nemmeno quelle senza scuola, perchè ho iniziato a nuotare due volte al giorno. Mi pesava molto alzarmi presto, non capivo perchè dovessi nuotare alle 5 del mattino, e certo le mie abitudini alimentari non rendevano più semplice la situazione. Sono abituato a fare colazione due ore prima di nuotare. E allenarsi alle 5 voleva dire sedersi a tavola alle 3 di notte. Non c’è stata una sola volta che non siano stati i miei genitori a preparami la colazione, mostrando un amore infinito per me e un enorme rispetto per i miei sogni.
A 13 anni è difficile vedere oltre la fatica quotidiana, a vedere l’importanza di ogni singolo mattoncino che costruisce un futuro solido.
Proprio come la mia tecnica di nuotata. Certo in gran parte è naturale, è il mio istinto a portarmi a nuotare in certo modo, ma ho anche lavorato molto e continuo a farlo con il mio allenatore. Ore e ore dedicate ad ogni singolo dettaglio.
Io e Adrian parliamo tantissimo di nuoto, potremmo passare giornate intere a discutere di tecnica e dei grandi campioni del passato senza annoiarci un secondo.
A detta di molti il modo in cui nuoto ha qualcosa a che vedere con lo stile di Ian Thorpe. E non serve che dica altro sul suo conto. Quello che invece voglio dire è che senza dubbio la sua tecnica è stata fonte di ispirazione per me, che 20 anni dopo di lui sono libero di nuotare imitandolo.
Dico libero, perchè lui è stato il primo a rivoluzionare in qualche modo lo stile libero, assumendosi il richio di cambiare le regole di uno sport di cui all’alba del nuovo millennio si pensava di sapere già tutto o quasi. Bracciate lunghe, lunghissime, e la pazienza di aspettare che il corpo compia tutta la fase fi scivolamento. E’ difficile avere pazienza mentre si nuotano i 100 o i 200 metri, ma è l’acqua che ce lo chiede, e noi, dobbiamo ascoltarla.
Se due anni fa mi avessero detto che quel bambino incapace di fare i sonnellini pomeridiani sarebbe stato in camera di chiamata alle Olimpiadi accanto a campioni come Caeleb Dressel o Kyle Chalmers probabilmente avrei detto che era assurdo, o che era un sogno e che al loro cospetto mi sarei sentito una piccola formica, anzi meglio un insetto come quelli con cui giocavo da bambino.
Ma qualche mese fa è successo davvero, ero in camera di chiamata ai Giochi Olimpici di Tokyo e i miei stessi pensieri mi hanno in qualche modo sorpreso.
E’ vero, quelli attorno a me sono giganti del nuoto, hanno scritto pagine importanti di questo sport, quelle stesse pagine che qualche bambino guarderà e riguarderà in tv fino a impararle a memoria. Ma ci sono anche io e se sono qui è perchè sono un gigante anche io. Mi sono guadagnato questo posto e i Giochi Olimpici hanno dimostrato anche in questa edizione che ogni corsia ha una chance.
Mi sono divertito da pazzi e spero con tutto il cuore di partecipare ad altre edizioni, perche le Olimpiadi sono un animale diverso, sono un mondo parallelo che ti permettere di pranzare e prendere l’autobus accanto ai tuoi avversari. I giochi Olimpici sono l’essenza dello sport. Ed è per questo che non voglio mai dimenticare quanto mi diverto, quanto mi piace fare quello che faccio.
Come durante i secondi 50 metri di quel 100 stile quando mi sono ritrovato a parlare nell’acqua, non nella mia testa ma proprio nell’acqua, o forse parlavo all’acqua. Dicevo ogni due bracciate: “I f**king love it”.
Traduzione a cura di Aglaia Pezzato