Avrei voluto mollare mille volte.
Ogni volta mi ripetevo che aver imparato a nuotare “da grande” era già un buon traguardo per chi non riusciva nemmeno a farsi la doccia senza il panico che l’acqua entrasse nel naso.
Credevo di aver commesso un grande errore di valutazione.
Ogni volta guardavo l’allenatore che con gesti di dita indicava numeri di serie per me incomprensibili.
Un quattrocento, due duecento di riscaldamento. Pausa venti, poi un 400, due 200, quattro cento e otto cinquanta.
Quello era davvero un limite. Ogni volta mi ripetevo “vabbè, fa quello che fa chi ti precede e prega di uscirne viva anche stavolta”. I compagni della corsia affianco andavano così forte che nemmeno riuscivo a distinguerli. Quelli della mia o erano impegnati a superarmi o a toccarmi i piedi.
Alternavo braccia e mani contro la corsia a bevute di cloro e non so cos’altro.
Finivo che non riuscivo nemmeno ad uscire dall’acqua dal muretto.
Alla fine dell’allenamento mi sento una sopravvissuta.
Ho nuotato in “acque nemiche”, con quel magone che accompagnava ogni passo dallo spogliatoio alla corsia.
Vedevo l’acqua e sentivo le gambe tremare, le braccia pesanti e quel formicolio che tutt’ora mi prende l’istante prima del tuffo.
Mi sono sentita incapace, inadatta. Troppo “vecchia”, troppo lenta, troppo stanca.
Non volevo concedere tempo al mio corpo di abituarsi, presa da ciò che volevo diventare non ascoltavo i continui segnali che mi imponevano di essere meno dura, soprattutto con me stessa.
Ogni volta però, dopo la paura, dopo la voglia di mollare tutto, dopo la spalla che continuava a pulsare a causa di una bracciata completamente errata. Ogni volta, dopo le prime vasche tutto tornava al proprio posto.
Era il silenzio dopo una tempesta che travolge ogni cosa.
Ti metti lì ed osservi quello che è rimasto.
Quella quiete, quel senso di tranquillità ha sempre spazzato via ogni dubbio.
Quando tutto intorno sembra dirti di smettere.
Quando non trovi una mano che ti tiri fuori dall’acqua mentre stai annegando, scopri che il modo migliore per non affogare è rilassarti completamente e rimanere a galla.
Le lacrime verranno fermate ancora una volta dalla gomma che sagoma gli occhialini.
Il cuore riprenderà il suo ritmo anche senza uno, due o mille pezzi.
Nel fondo troverà l’ultimo brandello di coraggio che è rimasto e quello basterà per ricostruire tutto.
Si nuota per tanti motivi.
Io ho capito che lo faccio per egoismo, per amor proprio. Fuori da quella corsia può esserci qualsiasi cosa, ma dentro l’acqua ci sono solo io.
Lenta o veloce, giovane o no. Lì c’è il mio corpo e la mia mente che hanno trovato l’unico posto dove trovare la propria pace.
Il cuore e la testa che, completamente scollegati in qualsiasi altro frangente, lavorano insieme.
Il nuoto non mi ha cambiato, mi ha fatto solo capire chi sono.